Periodico sulle tendenze dell’Economia in Toscana

La Contabilità Industriale

La contabilità industriale, per sua natura, continua a rivestirsi di un’alea che, in più occasioni, restituisce diffidenza e difficoltà di approccio. Come di consueto tutto questo può derivare da differenti visioni, e punti di vista, riguardo al tema della cultura aziendale in senso lato. Troppo spesso il target delle piccole e medie imprese è travolto da una bulimia di incombenze amministrative ed autorizzative, al punto da lasciare sempre meno spazio al fare impresa.

Ma cos’è la contabilità industriale? Ho già la mia contabilità generale, a cosa può essermi utile? E’ obbligatoria? Quanto costa?

Sono queste le domande che, seppur non poste direttamente, si intuiscono dagli sguardi di alcuni imprenditori quando si propone loro un approccio in tal senso. Appellandomi al massimo della sintesi, provo ad elaborare un’unica risposta, salvo poi ritornare in argomento: la contabilità industriale serve all’imprenditore, quella generale agli stakeholders, può dare informazioni sulle varie componenti dell’impresa, non è obbligatoria e forse il maggior costo si sostiene quando non c’è. Tanto dovevo. Ora però dinoccioliamo l’argomento, facendo seguito ai due precedenti articoli nei quali abbiamo parlato dell’attribuzione diretta ed indiretta di costi aziendali ai singoli items, intendendo per tali i cantieri, le linee di prodotto, le aggregazioni di prodotto o quant’altro l’imprenditore ritenga opportuno.

Insomma, si sta parlando delle molecole della sua produzione.

Il processo industriale analizza i fatti interni all’impresa. Gli output non sono destinati ad una  divulgazione massiva esterna. Servono al management interno per supportare le decisioni strategiche da prendere, valutare la convenienza economica di un progetto, la sostenibilità di un business, un prodotto o una linea di produzione.

Cambia la latitudine visiva e stimola il management ad un’osservazione bottom up, piuttosto che top down della contabilità generale. Quest’ultima analizza il complesso del fatturato e, dopo averne sottratto i costi, determina i vari margini economici fino a giungere a quello più importante: l’utile di esercizio (o di periodo se la rilevazione è infrannuale). Ma in che modo hanno concorso i vari prodotti, segmenti, linee di prodotto alla realizzazione di questo utile? Come facciamo a sapere se questo valore è generato da tutti margini positivi o se è la risultanza algebrica di esiti alternati? Del caso, come e su quale prodotto posso intervenire per rimuovere il gap e aumentare il risultato complessivo?

Finalmente ci siamo. A queste domande può dare un senso la contabilità industriale a cui spetta un compito arduo: avere a disposizione le salsicce e ricostruire il maiale.

Il tema è riuscire ad individuare il margine economico per ciascun prodotto (le salsicce) facendo in modo che la loro somma sia il risultato che scaturisce dalla contabilità (il maiale).

Solo in questo modo sarà possibile considerare coerente la reportistica della contabilità industriale. Troppe volte si riscontra un’imbarazzante parallelismo tra i due mondi, l’industriale ed il contabile, che più che aiutare il management contribuisce ad appannarne la capacità interpretativa delle informazioni.  Troppi dati, originati da più fonti, ognuna delle quali non cede di un passo rispetto all’altra, rischiano di rappresentare un disvalore. Il senso di disagio aumenta considerando che ogni processo interno ha un suo costo. Tutto fa convergere verso la necessità di correlare i due mondi perché il vero valore sta nel fornire risultati tra di loro coerenti, non necessariamente uguali ma correlati.

Dopo aver individuato i singoli items (prodotto, linea, cantiere, etc) è opportuno:

  • Attribuire il fatturato;
  • Attribuire loro i costi diretti (vedi https://toscanaeconomy.it/attribuzione-diretta-dei-costi-nellimpresa/);
  • Aggregare i valori economici sopra enunciati per ottenere il margine economico.

La somma dei margini dei singoli items deve correlarsi con il margine scaturente dalla contabilità di periodo, arricchita dalle scritture di rettifica ed assestamento che l’assurgono al rango di bilancio di periodo.

Il livello del margine può essere impostato a seconda degli strumenti a disposizione: si può parlare di margine lordo, netto o altri livelli, fino al massimo affinamento costituito dal risultato netto di periodo. Per quanto ovvio è più opportuno partire investendo sul processo e sulla sua metabolizzazione all’interno della struttura piuttosto che puntare sulla massima analiticità del risultato. Gli strumenti e le tecnologie che potranno essere utilizzati sono di vario genere e diversi anche a seconda del livello di margine / risultato a cui si punta. Su questo ritorneremo con un altro contributo.

Concludiamo rimandando ad una delle domande fatte provocatoriamente all’inizio: il processo di contabilità industriale è obbligatorio? Potremmo, in cuor nostro, rispondere negativamente ma questo atteggiamento ricorda molto la storia di quel signore che, buttatosi nel vuoto dal sesto piano, intervistato da un cronista che sporgeva dalla finestra del secondo, affermava: /*-”fino a qui tutto bene”.

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