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I Green Jobs tra le professioni del futuro

Il parere dell’esperto di green economy Marco Gisotti

Si possono definire “green” quei lavori che pur contribuendo allo sviluppo produttivo di un Paese non hanno un impatto negativo per l’ambiente. Queste professioni possono diventare i profili più richiesti sul mercato del lavoro in settori anche molto diversi tra loro.

Lo afferma Marco Gisotti, docente di Teoria e linguaggi della comunicazione scientifica all’Università di Roma Tor Vergata e tra i curatori del rapporto “GreenItaly” di Unioncamere: «I green jobs non sono solo professioni dell’ambito tecnico-scientifico. Può definirsi un lavoratore green anche un gelataio che utilizza determinate materie prime e segue specifiche modalità lavorative: ciò che conta è che il suo lavoro non danneggi l’ambiente, ma anzi cerchi di preservarlo. Il concetto di green job non è così recente, ma è soprattutto negli ultimi anni che l’argomento è esploso. Un fatto è stato determinante: il discorso che l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama tenne nel 2008 sulla necessità di investire nella ‘green economy‘ e nelle figure professionali a essa connesse».

«Oggi più del 76% dei lavori richiesti – continua Gisotti – prevede tra i requisiti competenze verdi». Chimici, esperti energetici, ma anche cuochi, esperti agricoli, estetisti e consulenti di marketing: le competenze green ormai rientrano nel curriculum delle più diverse figure professionali. Nello specifico, Unioncamere ha calcolato che nel 2021 le aziende italiane hanno destinato oltre 3,5 milioni posizioni di lavoro a persone dotate di competenze verdi.

Le competenze green sono richieste soprattutto nella formazione tecnica superiore (per l’88,2% dei giovani usciti da ITS) e ai laureati (82,7%). Ma l’attitudine al risparmio energetico e la sensibilità ambientale sono un requisito necessario anche per chi si affaccia al mondo del lavoro con un diploma professionale o un titolo di studio di livello secondario (le “green skills” sono state richieste rispettivamente al 79,3% e al 76,6% dei nuovi assunti per quei livelli di istruzione).

Le professioni più richieste

Il lavoro più richiesto in assoluto è il “chimico verde”. Esperto nel controllo di qualità e in quello ambientale, può occuparsi dei processi di trattamento e di eliminazione dei residui di lavorazione, delle certificazioni e del trasporto, manipolazione e stoccaggio delle materie pericolose.

Il secondo posto è occupato invece dalla professione del cuoco, o meglio dell’ecochef. Quello dei servizi ricettivi è infatti tra i settori più interessati alla transizione ecologica. «Non si tratta di beneficenza, ma di un effettivo interesse per l’impresa – sottolinea Gisotti -.  Spesso non si pensa al fatto che a molte aziende diventare green conviene perché questo significa ridurre l’impiego di materie prime o i consumi energetici. In una parola: tagliare i costi». Il terzo posto spetta infine alle figure del data analyst e del data scientist. Entrambe le professioni, sebbene con le loro specificità, studiano i dati disponibili per produrre nuovi modelli di business più vantaggiosi per l’azienda.

Le nuove professioni

Oltre ad aver modificato le competenze richieste per professioni già esistenti, la transizione verde sta facendo nascere anche nuovi lavori. Si tratta di profili necessari per rendere un’impresa sostenibile. Si va dall’esperto di marketing ambientale all’installatore di impianti di condizionamento a basso impatto ambientale, passando per l’esperto energetico e il programmatore agricolo della filiera corta.

«Le aziende – conclude l’esperto – hanno bisogno di questi profili, anche per il proprio rendimento economico. Un esempio su tutti, la creazione di incentivi statali come il superbonus ha reso indispensabili per molte realtà dotarsi di quelle figure capaci di certificare certi standard. Non solo, operare in modo sostenibile significa spesso tagliare i costi. Così ad esempio un’azienda agricola dovrà dotarsi di un programmatore della filiera corta per tagliare i passaggi necessari a raggiungere il consumatore. In questo modo l’azienda avrà un minor impatto ambientale, ma anche costi di produzione più vantaggiosi».

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